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Franco Corleone: "Non c'è un posto migliore di Santo Stefano per riflettere sulla pena dell'ergastolo"

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Franco Corleone: “Non c’è un posto migliore di Santo Stefano per riflettere sulla pena dell’ergastolo”


“Io ho iniziato a occuparmi del carcere assistendo a una rivolta dei detenuti di San Vittore che erano saliti sui tetti, parliamo di tanti anni fa, forse 50”. Da quel momento, Franco Corleone non ha mai spesso di occuparsi di quello che succede dietro le sbarre, con un’attenzione particolare alla giustizia e al diritto, perché “il carcere è l’imbuto dove va a finire l’esercizio dei tribunali”. Se ne è occupato in Parlamento, da deputato (dal ’79 all’87) e membro della Commissione Giustizia, partecipando alle discussioni della riforma penitenziaria e della legge Gozzini e della legge sulla dissociazione dal terrorismo. È stato poi senatore e parlamentare europeo.

Come sottosegretario alla Giustizia – ruolo che ha ricoperto per 5 anni, dal 1996 al 2001 – ha preso parte a quella che lui stesso chiama “la più grande stagione di riforme degli ultimi decenni” con il ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Maria Flick nel primo governo Prodi. Si è occupato dell’incompatibilità del carcere per i malati di Aids e per le detenuti madri e del lavoro in carcere. È stato poi il Commissario per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e il Garante delle persone private per la libertà della Toscana.

Nonostante la lunga carriera e i diversi risultati ottenuti, Franco Corleone è ancora al lavoro per migliorare la vita dei detenuti: vuole restituire ai detenuti italiani il diritto alla sessualità. In Italia dopo venti anni dalla prima proposta di legge sulla sessualità in carcere nulla è cambiato. Così la conferenza dei Garanti dei diritti delle persone private della libertà ha preparato un testo, che è stato curato proprio da  Corleone e che, secondo l’articolo 121 della Costituzione, è stato approvato dal consiglio regionale della Toscana e poi inviato al Parlamento. Ora è in esame alla Commissione giustizia del Senato. “Mi auguro che prima o poi venga approvato. Sarebbe un segno di civiltà che darebbe la prova di un interesse per la qualità della vita e la dignità delle persone”.


A quali usi potrebbe essere destinato, secondo lei, l’ex ergastolo di Santo Stefano una volta messo in sicurezza e ristrutturato?

“Ritengo che nel recupero di un carcere debba essere salvaguardata innanzitutto la memoria. Non bisogna cancellare l’identità – perversa, se vogliamo – che hanno avuto per moltissimi anni. Occorre partire dalla specificità del luogo, dalla salvaguardia della struttura architettonica che in questo caso è un unicum da difendere. E la memoria si può conservare in molti modi”.

Lei quali strade si immagina per custodire la memoria di Santo Stefano in Ventotene?
“Penso a un percorso museale con la ricostruzione delle vite che sono state confinate in quel luogo, facendo rivivere le storie, le persone con i loro diari, le loro lettere, i loro volti. Bisogna immaginare qualcosa che sappia comunicare anche ai giovani quell’esperienza. Santo Stefano, oltre che per il periodo borbonico raccontato da Settembrini, viene ricordata per il modo in cui è stata utilizzata durante il fascismo. Lì sono passati molti uomini poi diventati padri della patria e della Repubblica. Per questo motivo bisogna immaginare un utilizzo non puramente retorico e celebrativo, ma una modalità che parli all’oggi. E Ventotene è stato anche il luogo di scrittura del documento chiamato poi “Il Manifesto di Ventotene”, a opera di Spinelli, Rossi e Colorni sugli “Stati uniti d’Europa”. Le due isole possono essere collegate per creare un centro di elaborazione culturale e politica proprio su questo tema, oggi più attuale che mai. E per costruirlo servirebbe, secondo me, un rapporto diretto proprio con il Parlamento europeo. Sembra quasi un’utopia pensare a un centro di studi da dove usciranno le risposte alle domande del nostro tempo, ma è bello immaginarlo proprio a Santo Stefano”.

Tutte queste idee possono convivere in un unico progetto?
“Io credo che queste strade possano andare di pari passo, se si riesce a superare la difficoltà di ristrutturazione architettonica che da una parte dovrà essere rispettosa della struttura e dall’altra dovrà renderla fruibile per gli scopi che abbiamo detto, sia per quello di residenza che per quello di museo vivo. Il progetto deve essere completo dall’inizio perché non credo che si possa pensare a una cosa e tenerla lì come idea per poi cercare di realizzarla successivamente. E proprio questa sarà la sua forza”.

C’è anche la proposta di renderlo un luogo per ospitare artisti o scrittori alla ricerca di ispirazione. Lei cosa ne pensa?
“Anche questa è una buona idea. Ma penso che dovrebbero essere artisti che capiscano che vanno in un luogo speciale. E sarebbero bello se lasciassero una loro opera in regalo, per arricchire gli spazi del carcere e rendere quel luogo, se possibile, ancora più prezioso. Tenendo presente che non è un studio neutro, ma fatto di carne, sangue e tragedie. Questo potrebbe essere un terzo utilizzo. Quindi il progetto potrebbe basarsi, per me, su memoria, utopia, mi riferisco all’idea del centro culturale europeo, e arte”.

Al di là della memoria dei singoli uomini che hanno vissuto nell’ex ergastolo, Santo Stefano potrebbe avere un ruolo anche nella narrazione della detenzione e della pena in Europa?
“Se a Santo Stefano ci sarà un centro culturale uno dei temi che dovrà affrontare sarà quello dei diritti sociali e delle persone private della libertà. Dovrà accogliere una riflessione sui luoghi di pena e sulle strategie da prendere per farli diventare luoghi non di tortura ma luoghi di diritti. La Corte europea dei diritti umani ha detto ormai da tempo che l’ergastolo è una pena superata. E questa riflessione non può essere lasciata soltanto a Papa Francesco, deve diventare più ampia. Ricordo che Aldo Moro poco prima di essere ignobilmente assassinato aveva fatto una lezione ai suoi studenti contro la pena di morte e contro l’ergastolo, ritenendo l’ergastolo addirittura più crudele della pena di morte. Non c’è luogo migliore di un ex ergastolo per fare una riflessione contro la pena dell’ergastolo”.

Un’esperienza da salvare è anche quella del direttore Eugenio Perucatti. Secondo lei come potrebbe essere attualizzata?
“Abbiamo tante figure che andrebbero ricordate. Perucatti è senza dubbio una di queste. Io sono molto legato alla figura di Alessandro Margana che è stato un punto di riferimento come magistrato di sorveglianza e che con Giovanni Michelucci ha pensato proprio al rapporto tra la città e il carcere. Credo che dovremmo recuperare tutte le figure che hanno immaginato luoghi che non devono essere di pura afflizione ma legati al principio costituzionale del reinserimento sociale. Il problema dell’isola pone anche, a chi sta studiando il progetto, la necessità di rompere quel distacco. Le isole, per i detenuti, erano state scelte per separare le persone dall’Italia, dalle loro città. Recuperando queste isole bisogna anche immaginare un ponte che faccia esattamente il contrario e le unisca all’Italia e, in questo caso, all’Europa”.

Nella sua carriera ha mai incontrato progetti di recupero simili a quello dell’ex ergastolo?
“Sì, almeno due. Per esempio il carcere di Saluzzo che è diventato un museo con la ricostruzione di alcune celle e ospita ora un centro per seminari sulle questioni carcerarie. A Firenze il carcere delle Murate è stato riconvertito in edilizia popolare con un’attenzione molto interessante nella conservazione e nel riuso. Però alcune parti, anche in questo caso, sono state conservate senza modifiche: le celle sono state occasione di laboratori per ricordare quella storia, quelle vite, quelle persone che sono passate in quel carcere. E forse così, almeno in parte, dovrebbe essere anche a Santo Stefano”.

Giulia Ciancaglini

Author: Giulia

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