
Chiunque abbia visitato l’ex ergastolo di Santo Stefano in Ventotene, nel raccontarlo parla di una bellezza straordinaria. Nel senso etimologico del termine: fuori dall’ordinario. Non capita tutti i giorni di osservare un carcere, che assomiglia a un teatro, abbandonato su un isolotto disabitato, con un diametro di 500 metri circa, al centro del Mediterraneo. Non capita tutti i giorni di visitare celle che custodiscono ancora le incisioni dei detenuti. Anche in questo senso la bellezza del Panopticon è straordinaria.
Per la prima volta questa bellezza è stata immortalata e messa a disposizione anche di chi non ha mai visitato di persona l’ex carcere in una mostra al Museo Nazionale Romano Terme di Diocleziano dal titolo “La memoria del dolore. Un progetto di rinascita”, che raccoglie gli sguardi allenati di artisti di fama internazionale come Marco Delogu, Raffaela Mariniello e Mohamed Keita insieme a quelli di chi, per anni, per un motivo o per l’altro, ha fotografato l’ex ergastolo, Pier Vittorio Buffa, Alessio Castagna e Stefano Costa. Professionisti e dilettanti. Gli scatti dei primi esposti accanto a quelli dei secondi per celebrare un luogo che sta per rinascere. La mostra infatti fa parte del piano di comunicazione del progetto di recupero guidato da Silvia Costa, commissario straordinario del governo.

“Questa mostra elimina la retorica visiva della prigionia e restituisce un’isola dove terribili esperienze vissute potranno trasformarsi in pensieri, idee e fatti”, ha commentato Marco Delogu. Il curatore della mostra spiega anche perché la scelta è ricaduta su Raffaela Mariniello e Mohamed Keita. La prima ha fotografato spesso porti e marine e ha una sensibilità, tutta femminile, per il cambiamento che subiscono i luoghi storici e, poi, vive davanti al mare. Lei ha immortalato il Panopticon in un campo e controcampo e ha scattato tre immagini di ambienti interni: due celle e il locale del carcere che era destinato alla tessitura, con una vecchia macchina da lavoro. Il secondo è stato detenuto, in Libia e a Malta, e ha subìto l’esperienza del mare come ostacolo verso la libertà. Forse proprio per questo Keita ha scelto di fotografare un suo percorso, è entrato nel carcere ma poi ha anche iniziato a girare intorno alla struttura, immortalando il mare e le strade, come se stesse camminando in cerca di ipotetiche vie di fuga. Come se fosse un detenuto di quel carcere, di quell’isola.

L’obiettivo dei fotografi non inquadra soltanto la bellezza architettonica. Calcinacci, cantieri che raccontano i lavori in corso, erbacce e crepe nelle celle: alcune delle fotografie mostrano anche lo stato di abbandono in cui Santo Stefano si trovava prima che partisse questo grande progetto. Un abbandono che rappresenta il punto più basso di un luogo che è stato definito simbolico per tanti motivi: per la riflessione sulla detenzione e per l’Italia, visto che costrinse dietro le sbarre Sandro Pertini, poi diventato presidente della Repubblica. Presto il carcere tornerà a essere una “scuola d’alti pensieri”, come lo definì Eugenio Perucatti che fu direttore del penitenziario dal 1952 al 1960, e la mostra alle Terme di Diocleziano racconta la sua versione più intima e vera, non solo attraverso le immagini ma anche grazie alle storie di alcuni detenuti, selezionate dallo scrittore e giornalista Pier Vittorio Buffa.